Cercando la parola perfetta per descrivere qualcuno che praticamente è morto nella vita e che è schiavo dei suoi pensieri, ho trovato il titolo di questo post. Dopo di ciò nel mio computer stava suonando l’indimenticabile canzone di Dolores O’Riordan, la cantante dei Cranberries, in cui ci dice con molta emozione che ci siamo trasformati in zombi o schiavi di quello che c’è nella nostra testa. Se ascolti attentamente le parole ti renderai conto di qual’è il gioco della vita, spero che lo scopri in quella voce e in quella musica.

Il problema non è la vita come tale, ma l’opinione che ho di essa, ciò che c’è nella mia testa rispetto ad essa; quel mio affanno per cambiarla, per toglierle la sua parte oscura, per fermare i suoi processi, quell’urgenza di continuare camminando in circoli. Una voce lì dentro mi dice che se ottengo tutto quello che l’altra voce sta chiedendo, sarò felice. Un’altra voce mi corregge. Chi ascolterò ?

Quando non penso, mi riscopro come un essere straordinario, infinito, divino, senza etichette, senza nome, senza marche, senza impronte, senza tempo; il contenitore perfetto della mia umanità (del mio essere umano).

Quando penso, scivolo tremolante attraverso mondi oscuri, storie tristi, solitudine, oblio. Questo pensiero mi fa arrivare a paludi dove ci sono altri esseri così positivi come me, uniti gli uni agli altri con cordoni invisibili per mezzo dei quali si trasporta il pianto, la perdita o il dolore di non essere. A volte mi rendo conto che voglio lasciare la palude ma il suo fango è appiccicoso; il pensiero mi chiama, voglio pensare, ho bisogno del dolore; ho scoperto che crea dipendenza. Con voce tremolante chiamo i miei cari che non ci sono più, ma non risponde nessuno. Con un grido chiedo aiuto per guarire il mio corpo ma non vengo ascoltata. Cosa succede?

Ho paura della povertà, della solitudine, credo di aver paura della stranezza, della rarità, di quelle persone che minacciano le mie vecchie credenze e credo anche di avere paura di morire.

Improvvisamente qualcuno mi parla:

– Cosa temi ?
– La morte.
– Ma se sei già morta!
– Come che sono morta?
– Si lo sei. La vita nasce in ogni secondo e tu occupi ogni secondo pensando e non hai tempo per vivere. Non ce l’hai. Quindi non sei viva!
– Allora se non temo la morte, cosa temo?
– Temi la vita che è nascosta nel tuo corpo, temi la dipartita di quella maschera piena di ricordi. Hai paura di uscire dalla melma, hai paura di vivere , non di morire.
– E cosa posso fare ?
– Niente. Per favore smetti di fare le cose. Accetta il mondo che hai nella testa, accetta il tuo mondo com’è. Ti amo.

Tuttavia, ancora con i miei piedi immersi nel fango e senza sapere perchè, comincio a recitare un bel mantra, quell’ultima parola che quel qualcuno mi disse:

TI AMO. TI AMO. TI AMO.

Magicamente gli altri esseri del fango connessi a me cominciarono a pronunciarlo. Tutto ebbe inizio con me. Non c’è nessun cambio o forse se c’è, non lo so. Non ne ho più bisogno. Sto solo smettendo di pensare.

Grazie per leggermi.  Un abbraccio fraterno di pace. Grazie Sabrina.

Un bacio a chi mi ha insegnato a conoscere la musica dei Cranberries, Luis Alberto mio fratello.

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